L’analista macro Luke Gromen ribadisce che l’assenza di rendimento in Bitcoin non è un limite, ma una caratteristica di sicurezza. In un contesto di instabilità economica e sfiducia nei mercati, Bitcoin si impone come riserva di valore “senza rischio di controparte”, mentre cresce il confronto con Ethereum.
Nel pieno del dibattito globale sull’evoluzione degli asset digitali, Luke Gromen, analista macro e voce rispettata tra gli investitori istituzionali, rilancia una visione controcorrente: il fatto che Bitcoin non produca rendimento non è un difetto, ma un punto di forza.
Lo ha dichiarato nel podcast “Coin Stories” di Natalie Brunell, puntando il dito contro chi guarda solo alla logica dei profitti periodici.
La sicurezza prima del rendimento: il punto di vista di Gromen
Secondo Gromen, “se si ottiene un rendimento, si corre un rischio”. Per lui, l’assenza di yield nativo in Bitcoin lo rende più affidabile in quanto non espone gli investitori al pericolo di perdita associato a intermediari o a meccanismi di staking centralizzati. È un concetto che torna spesso nel suo discorso: “Chi critica Bitcoin per la mancanza di rendimento dimostra solo il proprio privilegio finanziario occidentale”.

Come esempio concreto cita il crollo di FTX nel novembre 2022, quando migliaia di investitori hanno perso fondi facendo staking sulla piattaforma: “C’era rendimento, certo. Ma dov’è finito tutto quel denaro?” Una provocazione che mette in luce il rischio intrinseco di delegare il controllo dei propri fondi a terzi in cambio di una ricompensa.
Secondo Gromen, anche il denaro nei conti bancari non appartiene realmente ai clienti: è della banca, che ne trae profitto prestando liquidità. Bitcoin, invece, resta interamente nelle mani del detentore, se conservato in un wallet privato.
Il confronto con Ethereum e l’attrattiva dello staking
Il ragionamento di Gromen arriva in un momento in cui Ethereum continua a rafforzarsi come asset finanziario grazie al suo modello proof-of-stake, che consente di generare rendimenti tramite lo staking di ETH. Questo approccio, simile a quello delle banche che pagano interessi sui depositi, attira sempre più clienti istituzionali, come confermato dal chief strategy officer di CoinW, Nassar Achkar.
Secondo le ultime stime aggiornate al 2025, circa il 4,13% della fornitura totale di ETH è oggi detenuto da aziende quotate che lo inseriscono nei propri bilanci come asset di tesoreria. Il valore complessivo supera i 23 miliardi di dollari, segnando un chiaro cambio di passo nella gestione degli investimenti aziendali.
Questo dato evidenzia come Ethereum stia diventando uno strumento operativo per la finanza tokenizzata, trovando un posto nei portafogli aziendali grazie al suo potenziale di rendimento e al coinvolgimento diretto nella validazione della rete.
Tuttavia, per i puristi della decentralizzazione, Ethereum comporta comunque un rischio di controparte, sebbene interno al protocollo. Il fatto che il rendimento venga generato comporta — secondo Gromen — una rinuncia parziale alla sicurezza assoluta che contraddistingue Bitcoin.
Bitcoin resta una riserva di valore privilegiata
A oggi, Bitcoin continua a essere percepito come “oro digitale”, una riserva di valore capace di proteggere gli investimenti da inflazione, instabilità geopolitica e controllo governativo. A sostegno di questa tesi, i dati più recenti mostrano che le tesorerie pubbliche globali detengono circa 119,65 miliardi di dollari in Bitcoin, cifra in crescita rispetto al 2024.
Pur non supportando nativamente lo staking, esistono alternative per ottenere rendimento con Bitcoin: dalle piattaforme di lending centralizzate ai wrapped token come Wrapped Bitcoin (WBTC), fino a nuove soluzioni sviluppate su reti collaterali come Babylon o Stacks.
Ma per Gromen, ogni soluzione che introduce un intermediario o una promessa di rendimento si allontana dalla natura originaria di Bitcoin, che resta un bene digitale puro, inalterabile, scarso e privo di vincoli con le dinamiche speculative del sistema finanziario classico.
Nel 2025, mentre il dibattito tra Ethereum e Bitcoin si fa sempre più acceso, cresce anche la consapevolezza che i due asset non siano concorrenti, ma strumenti differenti per obiettivi distinti. E forse, proprio nella mancanza di rendimento, Bitcoin trova la sua forza più autentica: quella di non dover promettere nulla per valere qualcosa.