Nel secondo trimestre 2025, la disaffezione verso le criptovalute si fa evidente: pesa la pressione fiscale e cresce l’interesse per i fondi strutturati.
Nel pieno della maturazione del mercato cripto, arriva un segnale netto dall’Italia: gli investitori in Bitcoin stanno diminuendo. I numeri diffusi dall’OAM (Organismo Agenti e Mediatori) parlano chiaro: nel secondo trimestre del 2025, il numero di soggetti attivi è sceso di circa il 20% rispetto ai mesi precedenti. Parallelamente, il valore dichiarato degli asset ha subito una flessione del 22%.
Dietro questi dati si nasconde un cambiamento più profondo del semplice disinteresse: il cripto-entusiasmo degli italiani si sta trasformando in prudenza finanziaria, complici le nuove norme fiscali e il consolidamento dei fondi d’investimento digitali.
Pressione fiscale e gestione professionale: perché molti italiani stanno abbandonando i wallet
Una delle cause principali del crollo è l’impatto delle nuove tasse sulle plusvalenze introdotte a partire dal 2024. La legge italiana prevede che gli utili derivanti dalla vendita di criptovalute superiori a 2.000 euro annui vengano tassati con un’aliquota del 26%, equiparandoli ai redditi da capitale tradizionali. Una misura che ha generato timore tra i piccoli risparmiatori, spesso impreparati a gestire correttamente le dichiarazioni fiscali.
Molti investitori retail che in passato erano abituati a operare in autonomia su exchange come Binance, Coinbase o Crypto.com, hanno iniziato a liquidare le proprie posizioni per evitare errori burocratici o controlli fiscali invasivi. Il timore di dover giustificare ogni transazione agli occhi del fisco ha contribuito alla flessione, alimentata da una percezione crescente di rischio legale e finanziario.

Contemporaneamente, è emerso un fenomeno speculare: il trasferimento di capitali verso fondi strutturati. Le società di gestione patrimoniale italiane e internazionali hanno cominciato a offrire prodotti basati su criptovalute, ma in forma regolamentata e con fiscalità ottimizzata. Si tratta di strumenti che replicano l’andamento di Bitcoin, Ethereum o di indici cripto, ma che rientrano nel quadro normativo europeo definito dal MiCA (Markets in Crypto-Assets), in vigore dal gennaio 2025.
Secondo i dati di CryptoData360, il numero di italiani che investono in cripto attraverso fondi gestiti è aumentato del 46% rispetto al 2024, raggiungendo quota oltre 340.000 unità. Una migrazione silenziosa, ma sostanziale, che spiega perché i numeri degli exchange risultino in calo, pur in un contesto di interesse ancora vivo.
L’Italia cripto cambia pelle: meno hype, più controllo e investimenti istituzionali
Nel 2025, il mercato italiano delle criptovalute sta vivendo una fase di transizione. Dalle promesse di guadagno facili si è passati alla professionalizzazione degli strumenti. L’accesso diretto a Bitcoin e simili, che un tempo sembrava una rivoluzione “peer to peer”, oggi appare più rischioso e meno vantaggioso per l’investitore medio.
Questo nuovo scenario ha anche modificato la composizione dell’utenza: se nel 2022-2023 la fascia 18–34 anni rappresentava la maggioranza degli utenti cripto, nel 2025 crescono le fasce 40–55 anni, più inclini a preferire strumenti regolati e con rendicontazione automatica. Il profilo dell’investitore tipo si sta allineando a quello del risparmiatore tradizionale, che cerca diversificazione ma non vuole esporsi a rischi legali o a eccessiva volatilità.
Il governo italiano sta valutando un intervento di alleggerimento fiscale per incoraggiare gli investimenti a lungo termine. Tra le proposte al vaglio c’è l’introduzione di un’aliquota agevolata del 23% per le plusvalenze derivanti da criptovalute detenute per oltre tre anni, con lo scopo di incentivare strategie pazienti anziché speculative. Una riforma che potrebbe dare nuova linfa al settore, ma che rischia di arrivare tardi rispetto al cambio strutturale già in atto.
In parallelo, anche le banche italiane si stanno muovendo. Alcuni istituti, tra cui Intesa Sanpaolo e Unicredit, stanno studiando soluzioni per integrare portafogli cripto nei servizi di consulenza patrimoniale, in collaborazione con piattaforme certificate. L’obiettivo è offrire un canale sicuro, trasparente e fiscalmente conforme, capace di attrarre quei capitali attualmente parcheggiati o già migrati all’estero.
A livello globale, il sentiment sul Bitcoin continua a essere volatile. Dopo aver superato i 70.000 dollari nei primi mesi dell’anno, la regina delle criptovalute è scesa sotto i 58.000 dollari a settembre 2025, complice la stretta monetaria della Federal Reserve, l’instabilità nei mercati asiatici e l’aumento dell’avversione al rischio tra gli investitori istituzionali.
Il 2025 potrebbe essere ricordato come l’anno in cui l’Italia ha smesso di inseguire il sogno cripto “fai-da-te” per abbracciare una visione più strutturata, regolata e compatibile con i sistemi finanziari tradizionali. Non è una fuga, ma una maturazione collettiva. Resta ora da capire se il mercato saprà rispondere con prodotti più accessibili, trasparenti e sostenibili anche per i piccoli investitori.