Roma, 23 dicembre 2025 – Un verme nastro di dimensioni sorprendenti è stato trovato quasi per caso in un piccolo laboratorio dell’Università Sapienza di Roma. Secondo i ricercatori, il campione – lungo quasi un metro – potrebbe rivoluzionare il modo in cui guardiamo alla longevità e all’invecchiamento degli invertebrati.
Una scoperta nata per caso
È successo tutto in una mattinata qualunque di dicembre. Mentre controllava le vasche di mantenimento, il dottor Alberto Grassi ha notato qualcosa di insolito. Un esemplare di Lineus longissimus, il cosiddetto verme nastro, si era sviluppato molto più del previsto: “Era arrivato a superare i novantasei centimetri”, ha raccontato Grassi. A prima vista niente di straordinario, almeno sulla carta. Ma quello che ha colpito i biologi è che l’animale, prelevato dal mar Tirreno sette anni fa e tenuto in laboratorio senza particolari cure, era ancora perfettamente vitale.
Di solito la longevità di molti invertebrati marini non supera i 3-4 anni, soprattutto in cattività. Qui invece abbiamo davanti un organismo ancora attivo e reattivo dopo oltre un decennio. “Ci ha fatto rivedere tutte le nostre convinzioni”, ammette la professoressa Chiara Vannini, docente di zoologia marina alla Sapienza.
Cosa dicono gli scienziati
Immediatamente sono partite analisi genetiche e metaboliche, in collaborazione con laboratori europei tra Roma e Parigi. Dai primi risultati emerge che il verme nastro mostra una resistenza fuori dal comune ai processi ossidativi legati all’invecchiamento cellulare. Il dottor Grassi spiega: “Ha una capacità di rigenerazione tissutale che supera di gran lunga tutto quello che avevamo visto finora”.
Alcuni parametri come la concentrazione degli enzimi antiossidanti e la quasi totale assenza del pigmento lipofuscina – tipico delle cellule vecchie – suggeriscono che l’animale ha raggiunto un equilibrio metabolico raro. “Ma il mistero resta,” confida Vannini. “Non sappiamo ancora come riesca a restare giovane così a lungo”.
Le implicazioni sulla longevità degli invertebrati
La notizia ha acceso dibattiti nella comunità scientifica internazionale. Finora si pensava che gli invertebrati avessero cicli vitali piuttosto brevi, fatta eccezione per alcune meduse o spugne delle profondità marine. “Questa scoperta ci costringe a riscrivere alcune pagine dei nostri libri”, dice la professoressa Laurence Dubois dell’Università Sorbona, tra le prime a vedere i dati da Roma.
Gli esperti sottolineano che potrebbe aprire strade completamente nuove. Forse certi meccanismi genetici, poco studiati finora, giocano un ruolo chiave nel rallentare o fermare l’invecchiamento negli animali semplici. O magari ci sono condizioni ambientali particolari legate a fattori microbiologici ancora da scoprire. Al momento però sono più le domande che le risposte.
Prossimi passi della ricerca
Nei mesi a venire, spiegano dalla Sapienza, il team continuerà gli studi sull’esemplare romano e su altri individui raccolti recentemente tra Ostia e Santa Marinella. Saranno monitorati metabolismo basale, stress ossidativo e capacità riproduttiva. “Vogliamo capire se si tratta di un caso isolato – magari una anomalia genetica – o se è una caratteristica comune alla specie”, dice Grassi.
Nel frattempo lo studio è stato inviato per la pubblicazione su “Nature Communications”. L’obiettivo è mettere la comunità scientifica nelle condizioni di replicare i dati e verificarne l’attendibilità. Gli specialisti restano cauti ma curiosi: “La natura continua a sorprenderci”, sorride Dubois.
Possibili applicazioni mediche
Se questi risultati verranno confermati nei prossimi anni – avvertono i biologi – si aprirà un nuovo fronte nella ricerca sulla longevità animale, con possibili ricadute anche sulla salute umana. Il professor Antonio Ricciardi, esperto di biologia dell’invecchiamento all’Università Federico II di Napoli, invita comunque alla prudenza: “Siamo solo agli inizi, ma i meccanismi antiossidanti scoperti potrebbero rivelarsi preziosi anche per la medicina rigenerativa”.
Per ora il verme nastro romano rimane nella sua vasca al dipartimento di biologia, osservato ogni giorno da studenti e ricercatori. Nel silenzio della sala vasche si respira una sensazione particolare: qualcosa che sa di futuro ma anche di mistero. Ed è proprio da quel piccolo laboratorio della Sapienza che la scienza riparte oggi, con meno certezze ma tanta voglia di capire.
