Assuan, 20 dicembre 2025 – Nel cuore dell’antica Nubia cristiana, tra sabbie e rovine di Qasr el-Wizz, un piccolo villaggio a nord del moderno confine egiziano-sudanese, uno scavo archeologico ha messo a nudo un mistero che da settimane infiamma il dibattito scientifico. Durante l’autunno 2025 sono state ritrovate decine di mummie infantili con tatuaggi incisi sul volto: segni chiari, spesso sulla fronte o sulle guance, ancora visibili sotto strati di garza e resina, nonostante i secoli trascorsi. Un enigma che sta dividendo gli archeologi internazionali: c’è chi vede in quei segni una traccia rituale cristiana e chi invece li collega a pratiche di origine diversa.
Un ritrovamento che solleva domande
I primi resti sono emersi a ottobre, quando la squadra dell’Università di Varsavia, guidata dalla professoressa Małgorzata Woźniak, ha aperto una camera sepolcrale datata tra il VII e l’VIII secolo d.C. “Abbiamo trovato almeno quaranta mummie di bambini”, ha raccontato la ricercatrice. “Sulla pelle del volto – soprattutto tra occhi e fronte – si vedono segni pigmentati, linee e croci.” Non si tratta di croci decorate, ma semplici incisioni scure, alcune appena accennate. Eppure ben riconoscibili.
Gli scavi sono proseguiti nelle prime ore del mattino, tra blocchi di pietra calcarea, mentre il sole filtrava da sud. Le mummie giacevano ordinate, avvolte in bende consumate dal tempo. Le analisi al carbonio-14 hanno confermato l’epoca: il periodo della dominazione cristiana in Nubia, spesso poco documentato e ancora oggi oggetto di studio frammentario.
Ipotesi a confronto: rito cristiano o memoria più antica?
Il nodo della discussione è il significato dei tatuaggi. “È difficile pensare che siano solo decorazioni”, osserva Mario Capasso, egittologo dell’Università del Salento. “Nell’iconografia cristiana medievale della Nubia compaiono spesso simboli crociati, ma tatuarli sul volto dei bambini defunti è una novità.” Per Capasso quei segni potrebbero essere una sorta di marchio protettivo: un modo per affidare l’anima dei più piccoli alle cure divine, proprio in un’epoca in cui la mortalità neonatale superava il 40%.
Altri studiosi rimangono più cauti. “Non abbiamo prove certe che si tratti di tatuaggi rituali legati al cristianesimo”, spiega Linda Evans, antropologa dell’Università di Sydney. In alcune culture africane precristiane era comune segnare i bambini per proteggerli da spiriti maligni o malattie. Un elemento sincretico che potrebbe essere arrivato fino al periodo cristiano.
Tecniche d’analisi e primi risultati
Gli esperti hanno usato microscopi digitali portatili e spettrometri a fluorescenza X per studiare i pigmenti. In circa metà delle mummie esaminate, le linee contengono residui di rame e manganese: materiali tipici degli inchiostri antichi locali. “Non abbiamo visto incisioni profonde”, spiega la professoressa Woźniak. “Pare che la pelle venisse punzecchiata con uno strumento molto sottile e poi colorata con polveri minerali.”
Le risonanze magnetiche fatte all’Ospedale di Assuan confermano che i pigmenti penetravano solo gli strati superficiali della pelle: un vero tatuaggio, non solo pittura funeraria.
Un mistero che resta aperto
Nelle stanze polverose dell’Istituto di Egittologia del Cairo, le immagini delle piccole mummie scorrono sugli schermi dei ricercatori. Tante domande rimangono sospese: erano figli di famiglie nobili o semplici vittime di epidemie? Gli archivi locali non aiutano; per quell’epoca i documenti scritti sono scarsi o frammentari. Eppure l’impressione – come sottolinea Capasso – è che fosse una pratica diffusa, quasi collettiva.
La direttrice del sito, Sara El-Badry, ha detto alla stampa che presto verranno fatti nuovi test sul Dna per capire se ci sono legami familiari tra i bambini sepolti nello stesso luogo. “Solo così potremo capire meglio chi erano davvero e quale significato avevano quei segni,” ha spiegato ieri mattina davanti alle telecamere egiziane.
Il dibattito non si ferma
Intanto la scoperta delle mummie infantili tatuate anima forum accademici e seminari internazionali. C’è chi punta sull’importanza del contesto funerario e chi vorrebbe allargare gli scavi a tutta la regione circostante. Non mancano poi riflessioni sull’aspetto etico della ricerca: mostrare i volti segnati dei bambini è davvero giusto?
Tra certezze che sfuggono e ipotesi ancora da verificare, i tatuaggi sulla pelle fragile dei piccoli nubiani restano un affascinante mistero. E lanciano una domanda alla quale nessuno finora ha trovato risposta: perché marchiare il volto dei più giovani in una società in cui il cristianesimo stava diventando centrale? Forse solo nuovi dati – o il prossimo colpo di scalpello negli scavi – potranno chiarirlo davvero.
