Il sito Phica.eu e gruppi social collegati sono ora sotto la lente della polizia postale: migliaia le vittime e nuove leggi in arrivo.
Una rete oscura di contenuti non consensuali, immagini intime rubate, commenti sessisti e richieste di riscatto fino a 1.000 euro al mese. Il sito Phica.eu, attivo da quasi vent’anni, e gruppi collegati come “Mia moglie” sono ora al centro di una maxi indagine della polizia postale, destinata a scoperchiare uno dei casi di revenge porn e cybercriminalità più gravi degli ultimi anni. Con più di 70.000 iscritti tra sito e social, la portata del fenomeno ha fatto scattare l’allarme anche in Parlamento.
Phica.eu e la macchina del ricatto: chi c’è dietro
Le segnalazioni sono partite dagli utenti, ma a fare da detonatore è stata la denuncia presentata dalla sindaca di Firenze Sara Funaro, finita anche lei in una delle sezioni “tematiche” del sito. Le immagini pubblicate, spesso manipolate, hanno coinvolto donne comuni e figure istituzionali, tra cui Giorgia Meloni, Elly Schlein, Daniela Santanchè, Maria Elena Boschi, Chiara Appendino e Alessandra Mussolini. Il tutto in un contesto in cui le vittime vengono iscritte a loro insaputa e, in alcuni casi, contattate direttamente per pagare la cancellazione dei contenuti.

L’indagine, che potrebbe presto sfociare in un fascicolo aperto dalla Procura di Roma, ruota attorno a una figura precisa: Vittorio Vitiello, 45 anni, nato a Pompei e residente a Firenze, descritto come l’amministratore di fatto di Phica.eu e già noto online con i nickname BossMiao e Phicamaster. È stato interrogato dagli inquirenti dopo essere stato identificato tramite la società Lupotto Srls, fondata nel 2023 a Genova e operativa nel campo del marketing tramite influencer.
Oltre a lui, finisce nel mirino anche la società bulgara Hydra, che gestisce parte delle transazioni elettroniche del sito. Il manager Roberto Maggio, domiciliato tra Sofia e Dubai, ha però annunciato azioni legali contro Phica.eu e chi lo ha collegato direttamente alla gestione dei contenuti, dichiarando di occuparsi solo dei pagamenti e non di ciò che viene pubblicato.
Denunce fondamentali per fermare il sistema e spingere le leggi
Al momento la polizia postale è concentrata nel tracciare la filiera digitale della piattaforma: hosting, server, sedi legalie connessioni economiche. Ma per far scattare in modo concreto i procedimenti penali servono denunce formali da parte delle vittime.
L’avvocata Anna Maria Bernardini de Pace ha lanciato una class action, affiancata da un pool di 12 legali, con l’obiettivo di sostenere chi ha subito danni da questa rete di siti e gruppi. “Con mille denunce i giudici si muoveranno”, ha dichiarato, facendo sapere che oltre cento persone hanno già aderito.
Anche il Garante della privacy ha espresso preoccupazione per il dilagare del fenomeno, mentre l’associazione PermessoNegato offre supporto diretto a chi subisce violazioni dell’intimità online. Le segnalazioni non bastano: per agire legalmente servono denunce precise, documentate, individuali.
A livello politico, la risposta non si è fatta attendere. La deputata Mara Carfagna ha annunciato che depositerà in Parlamento una proposta di legge per regolare l’uso dell’immagine personale online e contrastare l’abuso di contenuti generati o alterati con AI.
Il disegno di legge prevede:
il rafforzamento del diritto di proprietà su immagini, voce e fisionomia
l’introduzione giuridica del deep fake
l’obbligo di watermark su ogni contenuto generato con intelligenza artificiale
“Sporgerò denuncia anche a nome delle donne che non possono difendersi” – ha scritto la parlamentare su X – “Dobbiamo evitare che questi abusi diventino normalità.”
Intanto al Senato prende quota la proposta di Forza Italia, a firma Gasparri, Zanettin e Craxi, già in discussione in Commissione Giustizia. Il senatore Dario Damiani ha chiesto che il testo venga subito portato in Aula: “Il web non può restare zona franca per il crimine. Servono pene severe e regole chiare.”
I numeri raccontano un’emergenza digitale ormai fuori controllo. Ma il sistema può essere spezzato. Serve il coraggio di denunciare, la forza di raccontare, la determinazione della politica nel fermare questa spirale di violenza informatica. Perché dietro ogni foto diffusa senza consenso c’è una persona reale. E la giustizia digitale passa proprio da qui.