La corsa al Metaverso si è fermata? Dopo anni di hype e miliardi investiti, il futuro immersivo resta un’idea a metà: ecco cosa è successo e perché oggi se ne parla meno.
Era il 2021 quando il termine Metaverso entrò nel lessico comune, spinto con forza da Mark Zuckerberg che trasformò Facebook in Meta e mise al centro dei suoi piani un mondo virtuale condiviso, persistente e immersivo. A distanza di quasi quattro anni, quel futuro sembra essersi dissolto in un silenzio quasi imbarazzante. La parola stessa è sparita dai titoli, dai report, dai post delle grandi aziende tech. E il Metaverso, da visione dominante, è diventato un oggetto dimenticato.
La promessa era chiara: creare ambienti digitali nei quali lavorare, incontrarsi, acquistare, imparare, giocare. Tutto in uno spazio tridimensionale, accessibile da visori o dispositivi mobili, dove avatar realistici avrebbero rimpiazzato webcam e tastiere. Aziende come Microsoft, Google, Apple e soprattutto Meta avevano annunciato investimenti miliardari. Eppure oggi il settore appare fermo, come se si fosse sgonfiato all’improvviso.
La domanda è legittima: che fine ha fatto il Metaverso? E la risposta non è né semplice né univoca. I progetti non sono spariti, ma si sono trasformati, ridimensionati, nascosti sotto nuove etichette. E nel frattempo, l’interesse collettivo si è spostato altrove, trascinato da nuove priorità e tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale.
Dall’hype alla ritirata: cosa non ha funzionato nel progetto Metaverso
Il primo ostacolo è stato di natura tecnologica. I dispositivi promessi non sono mai diventati realmente accessibili. I visori VR sono rimasti costosi, ingombranti, poco comodi per l’uso quotidiano. Il Meta Quest 3, uscito nel 2023, ha introdotto migliorie, ma nulla che potesse rendere il prodotto davvero popolare. Il salto tra “giocattolo da gamer” e “strumento di massa” non è avvenuto.

Poi è arrivato il problema dei contenuti. Il Metaverso, per definizione, richiede ambienti vivi, dinamici, con attività quotidiane. Ma in realtà gli utenti hanno trovato spazi vuoti, pochi stimoli, esperienze lente e difficili da capire. L’idea che bastasse creare un avatar e camminare in una piazza digitale per sentirsi in un nuovo mondo si è scontrata con l’assenza di una reale utilità.
Sul fronte economico, l’impatto è stato pesante. Solo Meta ha bruciato oltre 40 miliardi di dollari in tre anni nei suoi Reality Labs, senza produrre ricavi proporzionati. Le aziende partner, da Disney a Nike, hanno tagliato o sospeso le collaborazioni. I team di sviluppo sono stati ridotti, e con loro anche le comunicazioni al pubblico. Non a caso, molti progetti legati al Metaverso sono stati rinominati, fusi o ricondotti sotto sigle più vaghe, come XR (Extended Reality) o spatial computing.
A tutto questo si è sommato il cambio improvviso dell’attenzione del mercato: l’esplosione dell’IA generativa nel 2023 ha catalizzato risorse, interesse, fondi e dibattito. Le aziende tech hanno spostato le proprie priorità. I fondi di investimento anche. E il Metaverso, che richiedeva un tempo lungo per maturare, è stato messo da parte.
Cosa resta oggi del Metaverso e perché non è detto che sia davvero morto
Eppure, nonostante il silenzio, il Metaverso non è del tutto sparito. Molti dei mattoni tecnologici costruiti in questi anni sono ancora lì. Le piattaforme come Roblox e Fortnite continuano a sperimentare ambienti immersivi. Le università e i centri di ricerca testano applicazioni educative in realtà virtuale. E perfino Meta, pur senza più usare il termine con insistenza, continua a sviluppare i suoi visori, in parallelo al lancio degli smart glass con Ray-Ban.
Anche il mondo industriale ha trovato una sua nicchia. Settori come la medicina, l’architettura, la formazione tecnica stanno utilizzando simulazioni 3D avanzate. Non per costruire un nuovo mondo virtuale, ma per migliorare la gestione di quello reale. Una trasformazione silenziosa, che non punta più al pubblico generico ma a segmenti verticali dove la tecnologia ha un ritorno concreto.
Il Metaverso, probabilmente, non è mai stato una destinazione. Era una parola-ombrello per descrivere un insieme di tecnologie ancora immature: realtà virtuale, realtà aumentata, ambienti 3D interattivi. E come tutte le visioni troppo ambiziose, si è scontrato con la realtà dei costi, delle abitudini, della lentezza del cambiamento.
Oggi se ne parla meno, perché il marketing ha smesso di puntarci. Ma dietro le quinte, il lavoro continua. Non come lo avevamo immaginato nel 2021, ma in forme più sottili, più tecniche, meno spettacolari. E chissà, forse tra qualche anno, sarà proprio quell’evoluzione nascosta a riportare in scena una nuova idea di metaverso. Più concreta, meno gonfiata. Più utile, meno narrativa.