La seta di ragno perde il primato: scoperta la fibra naturale più resistente al mondo

Salvatore Broggi

5 Dicembre 2025

Milano, 5 dicembre 2025 – Una scoperta che mette in discussione quello che fino a ieri sembrava certo: la seta di ragno non è più il “filo più resistente” che esista. Pochi giorni fa, il team di ricercatori dell’Università di Cambridge, insieme al Massachusetts Institute of Technology, ha annunciato di aver messo a punto un materiale artificiale che supera le performance di quella che per decenni è stata la regina delle fibre naturali. Il risultato, svelato ieri alle 14 durante una conferenza stampa nel campus inglese di Downing Street, segna un passo avanti decisivo nella ricerca sui materiali super resistenti.

Un nuovo primato nella scienza dei materiali

Per anni, la seta di ragno è stata il punto di riferimento per chi cercava il massimo in termini di resistenza e flessibilità. Leggera come poche altre e con una tenacia paragonabile all’acciaio, sembrava imbattibile. “Ma non ci siamo mai fermati a guardare solo alla natura: volevamo andare oltre”, ha raccontato il professor Helen Murray, capo del gruppo inglese. La svolta arriva con un nuovo polimero sintetico creato nei laboratori del dipartimento di Ingegneria dei Materiali. Secondo le prime pubblicazioni su Nature Materials, la sua struttura molecolare riproduce – e migliora – l’ordine delle proteine nella seta naturale.

Numeri, test e prime applicazioni

I dati presentati parlano chiaro: questo nuovo materiale resiste alla trazione circa il 40% in più rispetto alla seta di ragno (prelevata dal genere Nephila), superando i 2,1 GPa nei test condotti al MIT. Gli scienziati hanno sottolineato che mantiene una densità simile alle fibre naturali ed è molto flessibile. Il test chiave si è svolto lo scorso ottobre a Boston: fili sottilissimi come un capello hanno retto carichi fino a 150 volte superiori al proprio peso senza spezzarsi.

Le applicazioni possibili sono tante e già si pensa all’uso in campo biomedico, per punti di sutura e impianti, ma anche nell’aerospaziale e nel tessile. “Abbiamo già ricevuto richieste da aziende internazionali interessate a brevettare questa tecnologia”, ha detto il dottor Akash Mehta, tra i responsabili del team statunitense. Il gruppo sta valutando anche impieghi in campo difesa, come giubbotti antiproiettile, ma – chiarisce Murray – “la produzione su larga scala richiederà ancora qualche anno”.

Dal laboratorio alla vita quotidiana

La scoperta ha fatto rumore anche tra gli esperti italiani: la professoressa Chiara Rossi della Sapienza parla di “una svolta paragonabile all’arrivo della fibra di carbonio negli anni ‘80”. Ora si apre la fase decisiva per portare la nuova fibra dai laboratori al mercato. Al momento però il costo rimane alto: produrre un metro di questo filo può costare fino a 100 euro – una cifra destinata a scendere con la messa a punto dei processi chimici.

La domanda ora è come questa innovazione cambierà settori tradizionalmente dominati dalla seta di ragno, usata anche in dispositivi ottici e sensori. Molti laboratori stanno provando a mescolare seta naturale e polimeri sintetici per unire il meglio dei due mondi. Non mancano dubbi: sarà davvero possibile sostituire la natura con l’ingegno umano? Nel dibattito online al forum scientifico “Material Tomorrow” di ieri sera diversi esperti hanno espresso scetticismo sulle tempistiche per l’industrializzazione.

Implicazioni e prossime sfide

“Non si tratta solo di fare qualcosa più forte”, ha sottolineato Murray. “Abbiamo voluto puntare anche sulla sostenibilità e sulla biodegradabilità.” Le prime versioni sono ancora lontane da questi obiettivi; adesso la ricerca guarda soprattutto a ridurre l’impatto ambientale e pensare a come smaltire questo polimero nuovo. Un passaggio non facile, ma indispensabile. Solo allora si potrà parlare davvero di rivoluzione.

Nei prossimi giorni sono previsti ulteriori test su resistenza al calore e durata nel tempo. Tutti gli occhi restano puntati su Cambridge e Boston. La seta del ragno perde così lo scettro, ma – come spesso accade nella scienza – ogni risposta apre nuove domande. E quella sul futuro dei materiali è appena cominciata.

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