La Polonia rivede la propria posizione: lo sconfinamento di droni russi annunciato sabato non è mai avvenuto, secondo le verifiche radar.
Dopo giorni di tensione, Varsavia fa marcia indietro: l’incursione russa nei cieli polacchi di sabato non è stata confermata. Ma resta alta l’allerta militare lungo il confine est.
L’allerta era massima. Nella notte tra sabato e domenica, la Polonia aveva parlato di una nuova incursione di droni russi nei propri cieli, denunciando un possibile terzo episodio di violazione dello spazio aereo NATO. A distanza di 48 ore, però, arriva la smentita ufficiale da parte del Comando operativo delle forze militari polacche: nessun drone russo ha superato i confini del Paese sabato scorso.
Il chiarimento arriva in un momento delicatissimo per l’Alleanza Atlantica, che proprio nei giorni scorsi aveva dato il via all’operazione Sentinella Orientale, rafforzando la presenza militare sul versante Est dell’Europa.
Il passo indietro di Varsavia: “Nessuna violazione sabato, allarme partito dai radar”
A spiegare il retroscena è stato direttamente il Comando operativo polacco, che ha ricostruito l’evento: «In seguito alle indicazioni dei radar su una possibile violazione, ci siamo attivati con tutte le risorse disponibili per verificarla». Subito sono decollati caccia polacchi e alleati, mentre l’aeroporto di Lublino veniva chiuso per precauzione. Ma l’operazione preventiva non ha portato ad alcuna conferma.

«Le azioni intraprese – si legge nella nota ufficiale – non hanno confermato la presenza di oggetti russi nel nostro spazio aereo». La ricostruzione precisa che il segnale radar segnalava movimenti sospetti vicino al confine, analoghi a quanto accaduto in Romania la stessa notte. Anche in quel caso, l’attivazione del sistema di difesa aerea non ha prodotto prove definitive.
L’incursione precedente invece è confermata: “Un test russo per saggiare la Nato”
Diverso il discorso per lo sconfinamento della scorsa settimana, su cui Varsavia non ha dubbi. Secondo il ministro degli Esteri Radosław Sikorski, si è trattato di un’azione deliberata da parte di Mosca per testare i tempi di reazione della NATO, mantenendosi però sotto la soglia della provocazione diretta.
«È stato un tentativo del Cremlino di saggiare la nostra prontezza. I droni erano in grado di trasportare esplosivi, ma non lo erano. Nessuna testata, nessuna esplosione. Un messaggio, più che un attacco», ha spiegato Sikorski. Un comportamento che si inserisce in una strategia di escalation controllata da parte della Russia, per mettere pressione sull’Alleanza senza scatenare una risposta su vasta scala.
Il caso riaccende i riflettori sulle tattiche ibride utilizzate da Mosca, che mescolano dimostrazioni di forza tecnologica e ambiguità tattica. E alimentano le discussioni interne alla NATO sulla necessità di rafforzare le regole d’ingaggio, soprattutto per rispondere a episodi che si collocano sul filo del diritto internazionale.