Il 70% dei progetti di trasformazione digitale fallisce: il problema non è la tecnologia, ma il mancato coinvolgimento delle persone.
Sottovalutare il change management è l’errore più comune nei processi di innovazione: senza il supporto dei dipendenti, la trasformazione digitale si arena prima di partire.
L’innovazione digitale è sulla bocca di tutti, ma solo poche aziende riescono davvero a portarla a termine con successo. Nel 2025, nonostante gli investimenti in intelligenza artificiale, automazione e cloud, una percentuale altissima di progetti digitali continua a fallire. E non per colpa della tecnologia.
Il nodo critico non è la tecnologia ma il fattore umano
Secondo uno studio di McKinsey & Company, circa il 70% delle iniziative di trasformazione digitale si blocca o non raggiunge gli obiettivi iniziali. La causa principale? L’assenza di un adeguato approccio al change management.
Molte imprese, spinte dalla necessità di restare competitive, puntano su nuovi strumenti digitali, piattaforme cloud, automazione dei processi e strumenti di collaborazione da remoto. Tuttavia, trascurano completamente la componente umana del cambiamento, cioè le persone che dovrebbero utilizzare e integrare questi strumenti nella loro attività quotidiana.

Nel 2025, questo problema è ancora più evidente. Con l’accelerazione dell’adozione di tecnologie basate su modelli di intelligenza artificiale generativa, la difficoltà non sta solo nel “mettere a terra” l’innovazione, ma nel farla accettare e integrare in azienda.
L’errore più comune? Pensare che basti una formazione tecnica, o un comunicato interno per avviare il cambiamento. In realtà, serve molto di più: ascolto attivo, leadership distribuita, coinvolgimento costante, ma anche attenzione ai timori e alle resistenze che ogni innovazione inevitabilmente genera.
Un cambio di mentalità che parte dalle persone e non dai tool
Il change management, ovvero la gestione del cambiamento, non è un optional: è il cuore di ogni trasformazione efficace. Non si tratta solo di gestire un progetto, ma di accompagnare un cambiamento culturale. E questo richiede tempo, strategia e sensibilità.
Le aziende che nel 2025 stanno ottenendo risultati concreti in termini di digitalizzazione e competitività, sono proprio quelle che hanno invertito l’approccio: prima le persone, poi i processi, infine la tecnologia. Hanno compreso che per trasformare l’organizzazione, occorre prima di tutto trasformare la mentalità dei propri team.
Questo significa, ad esempio, inserire figure specializzate nel change management già nella fase di pianificazione dei progetti. Significa anche dare spazio a percorsi di coaching, incontri interni, strumenti di feedback, e soprattutto creare un contesto in cui i dipendenti possano sentirsi protagonisti e non vittime del cambiamento.
Tra i modelli più adottati nel 2025, si diffondono approcci come il Change Agile Model, che unisce flessibilità e coinvolgimento progressivo, e framework come l’ADKAR, che guida il cambiamento attraverso fasi concrete: consapevolezza, desiderio, conoscenza, abilità e rinforzo.
Emerge anche una nuova figura professionale: il change designer, un esperto che lavora a stretto contatto con HR, IT e direzione per progettare esperienze di cambiamento realmente coinvolgenti.
Chi pensa che la trasformazione digitale sia solo una questione tecnica, sta ignorando la componente più imprevedibile e potente di tutte: le persone. Nel 2025, la vera sfida delle imprese non è aggiornare i sistemi, ma coinvolgere i cuori e le menti di chi quei sistemi dovrà usarli ogni giorno. Solo così l’innovazione diventa reale e sostenibile.