Il caso Ferrara è solo la punta dell’iceberg. In Italia come nel mondo, l’intelligenza artificiale ha riscritto i confini tra studio e inganno.
In Italia come negli Stati Uniti, l’intelligenza artificiale ha già cambiato la scuola. E lo ha fatto in silenzio, mentre istituzioni e docenti cercavano ancora di capire come regolamentarla. La vicenda dell’Università di Ferrara, in cui un’intera commissione ha segnalato l’uso massiccio dell’IA tra gli studenti, non è un episodio isolato. È un campanello d’allarme in un sistema educativo travolto da una tecnologia che cresce più in fretta delle sue regole.
Nel 2025, ChatGPT e altri strumenti di IA generativa sono ormai diffusissimi tra gli studenti italiani. Ma nessuno ha davvero deciso se siano strumenti di apprendimento o scorciatoie per copiare. Il rischio? Che la scuola si trovi a combattere l’ennesima battaglia persa contro l’innovazione.
I numeri del fenomeno: studenti italiani sempre più dipendenti dall’IA
Secondo un’indagine condotta nel 2025 da Skuola.net e NoPlagio.it, il 65% degli studenti italiani tra i 16 e i 18 anniutilizza ChatGPT o strumenti simili per studiare o fare i compiti. Un dato triplo rispetto agli Stati Uniti, dove, secondo il Pew Research Center, la percentuale è del 26%.
Ma ciò che colpisce è la velocità della crescita. Nel 2024 erano il 34% gli studenti italiani che usavano spesso l’IA. Nel 2025 siamo al 51%. Parallelamente, quelli che non l’hanno mai usata sono scivolati dal 25% al 16%.

In teoria, l’uso dell’IA dovrebbe facilitare lo studio: riassumere, chiarire concetti, organizzare le idee. In pratica, molti finiscono per far fare tutto all’IA, senza rendersene conto. Come racconta Lily Brown, studentessa di psicologia in un college americano:
«Mi sento in colpa quando ChatGPT mi aiuta a riassumere i testi. È imbrogliare o no?»
Il confine è sempre più sottile. Il 62% degli studenti usa questi strumenti per prepararsi alle verifiche, ma solo 1 su 10ha ricevuto una formazione adeguata dai propri insegnanti su come farlo in modo corretto.
E tra i docenti? La stragrande maggioranza non sa usare l’IA o non sa come spiegarla ai propri studenti.
Le strategie degli insegnanti per resistere (o adattarsi)
Negli Stati Uniti, l’allarme è già scattato. Casey Cuny, docente di inglese in California con 23 anni di esperienza, parla di cheating fuori controllo:
«È il momento peggiore della mia carriera. Ogni compito che assegni finisce su ChatGPT».
Cuny ha cambiato completamente metodo: compiti solo in classe, uso di software per monitorare gli schermi, e un obiettivo nuovo: insegnare a convivere con l’IA, non a combatterla.
«Cerco di far imparare i ragazzi con l’IA, non di farli imbrogliare con l’IA».
Anche in Italia, alcuni docenti iniziano a muoversi. Francesco Amato, professore di geografia, ha trovato un modo creativo per smascherare gli “AI-dipendenti”: inserisce errori volutamente falsi nelle tracce dei compiti. Chi risponde correttamente… sta barando.
Ma sono mosche bianche. La maggior parte degli insegnanti, come racconta Kelly Gibson, non assegna più temi a casa:
«Sarebbe come dire: ‘Fatevi il compito con ChatGPT’. Tanto vale evitare del tutto».
Alla Carnegie Mellon University, la professoressa Emily DeJeu ha fatto una scelta radicale: niente compiti a casa, solo quiz in classe con browser bloccato.
«Aspettarsi autocontrollo da un diciottenne è illusorio. Tocca a noi creare i limiti».
La scuola italiana a un bivio: divieto o integrazione?
In Italia, il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha avviato un programma sperimentale biennale sull’intelligenza artificiale, coinvolgendo 15 scuole in Calabria, Lazio, Toscana e Lombardia. Alla fine dei due anni, i risultati degli studenti verranno confrontati con quelli delle classi “tradizionali”.
Ma il mondo reale corre più veloce. Le sperimentazioni sono già superate dal comportamento quotidiano degli studenti. E a questo punto, la domanda che nessuno vuole fare è un’altra:
Se per superare un compito basta copiare da ChatGPT, forse il problema non è lo studente, ma il compito stesso.
Come osserva il saggista Antonio Gurrado, è arrivato il momento di ripensare il significato stesso dell’apprendimento.
La scuola può decidere di continuare a vietare, controllare, bloccare, ma questa strategia ha già mostrato i suoi limiti. Oppure può accettare il cambiamento e trasformarlo in opportunità.
L’intelligenza artificiale non sparirà. Non possiamo più ignorare che un’intera generazione si sta formando con l’IA al fianco, e che il vero rischio non è che copi, ma che nessuno le insegni a usarla bene.
Il futuro dell’educazione appartiene a chi saprà collaborare con le macchine, non a chi tenterà di evitarle. Perché, piaccia o no, la scuola non è più un mondo separato dalla tecnologia: è il suo laboratorio più fragile.