New York, 21 novembre 2025 – Ottant’anni dopo la conferenza di Bretton Woods, il legame tra dollaro e potere resta un punto chiave nell’economia mondiale, anche se il panorama globale oggi è molto più frammentato e competitivo. Nel luglio del 1944, nella tranquilla cittadina di Bretton Woods, nel New Hampshire, 44 nazioni si ritrovarono per mettere in piedi un nuovo sistema finanziario internazionale. L’obiettivo era semplice: evitare crisi come quella del 1929 e aiutare la ricostruzione dopo la guerra. Da allora, il dollaro ha preso un ruolo di primo piano che ancora oggi condiziona scelte politiche e equilibri economici.
Bretton Woods: dove è nato un sistema che ha cambiato il mondo
La conferenza di Bretton Woods diede vita a due istituzioni fondamentali: il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale. Il primo doveva assicurare stabilità ai cambi e aiutare i Paesi in difficoltà; la seconda, finanziare la ricostruzione e lo sviluppo. Ma il fulcro del sistema era un altro: il dollaro legato all’oro. Gli Stati Uniti garantivano di convertire ogni dollaro in oro a un prezzo fisso di 35 dollari l’oncia. Tutte le altre valute erano agganciate al dollaro, con solo piccoli margini di oscillazione.
All’epoca, gli Usa possedevano circa due terzi delle riserve auree mondiali. “Il dollaro era diventato la valuta di riferimento globale”, ricorda l’economista americano Barry Eichengreen. Un primato che rispecchiava la supremazia economica degli Stati Uniti nel dopoguerra e che avrebbe segnato profondamente i decenni a venire.
Dal gold standard alla libertà dei cambi
Per quasi venticinque anni, il sistema di Bretton Woods garantì crescita diffusa e una certa stabilità finanziaria. Ma già negli anni Sessanta iniziarono a vedersi le prime crepe. Gli Stati Uniti, impegnati nella Guerra del Vietnam e in ambiziosi programmi sociali come la Great Society di Lyndon Johnson, aumentarono la spesa pubblica e tirarono fuori dollari a più non posso.
Molti Paesi cominciarono a dubitare della solidità del sistema e chiesero di convertire le loro riserve in oro. Le scorte statunitensi si ridussero rapidamente. Nel 1971, il presidente Richard Nixon annunciò la fine della convertibilità del dollaro in oro. Fu la fine di Bretton Woods e l’inizio dell’era dei cambi fluttuanti.
Da quel momento, le valute variarono liberamente, mosse dalle forze del mercato e dalle decisioni delle banche centrali. “Fu una svolta storica”, spiega Kenneth Rogoff, professore ad Harvard, “perché da allora tutto si è basato sulla fiducia nelle banche centrali”.
Il dollaro domina ancora il mondo
Anche senza l’ancoraggio all’oro, il dollaro ha mantenuto un’influenza enorme. Negli anni Ottanta, con l’espansione dei mercati finanziari e la crescita di Wall Street, il biglietto verde si è consolidato come valuta di riserva globale. Oggi circa il 60% delle riserve valutarie mondiali è in dollari; quasi la metà delle transazioni internazionali passa ancora per la moneta americana.
Il ruolo degli Stati Uniti come prima potenza economica e la vastità dei suoi mercati finanziari hanno tenuto salda questa posizione. Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale sono rimasti strumenti chiave per affrontare crisi come quella asiatica del 1997 o quella russa del 1998, e per sostenere le economie emergenti.
Nuove sfide: un mondo a più poli e valute digitali
Negli ultimi anni, però, qualcosa sta cambiando. La Cina cresce e porta lo yuan fuori dai confini nazionali, l’euro punta a un ruolo più forte, e paesi come Russia, Arabia Saudita e Brasile spingono per una “de-dollarizzazione”. A complicare il quadro ci sono anche le valute digitali delle banche centrali (CBDC) e le criptovalute, che mettono in gioco nuove incognite.
Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, più di venti banche centrali stanno sperimentando versioni digitali delle loro monete. “Il sistema è più fragile di quanto sembri”, confida un funzionario europeo che segue da vicino i dossier monetari a Bruxelles. La stabilità oggi dipende molto dalla collaborazione tra le grandi potenze economiche e dalla capacità delle istituzioni internazionali di tenere il passo con un mondo sempre più connesso.
Da Bretton Woods a oggi: la fiducia che regge il sistema
Il passaggio dal sistema di Bretton Woods a quello attuale ha segnato il trionfo della fiducia sulle garanzie materiali. Se nel 1944 la sicurezza veniva dall’oro e dagli accordi multilaterali, oggi tutto si basa sulla credibilità delle politiche economiche e su come i mercati percepiscono le istituzioni. Una fiducia che può vacillare – come dimostrano le crisi finanziarie degli ultimi decenni – ma che resta il vero pilastro dell’ordine monetario mondiale.
La storia di Bretton Woods non è solo un ricordo: è un monito sulla fragilità degli equilibri internazionali. In un mondo che cambia velocemente, il rapporto tra dollaro e potere continua a mettere alla prova governi, mercati e cittadini. E forse, mai come ora, quella fiducia è tornata al centro del dibattito globale.
