Secondo uno studio MIT-ORNL, l’automazione guidata dall’IA minaccia 20 milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti
L’intelligenza artificiale (IA) continua a scuotere il mercato del lavoro statunitense, dove secondo ricerche aggiornate del Massachusetts Institute of Technology (MIT) e dell’Oak Ridge National Laboratory (ORNL), fino a 20 milioni di posti di lavoro rischiano di essere automatizzati nell’immediato futuro. Un’analisi dettagliata condotta nell’ambito del progetto Iceberg ha simulato l’impatto dell’IA su 151 milioni di lavoratori, evidenziando che l’11,7% della forza lavoro americana potrebbe vedere sostituite le proprie mansioni da sistemi intelligenti, con un valore salariale complessivo di oltre 1,2 trilioni di dollari.
L’impatto dell’IA sul lavoro negli USA: dati e previsioni
Lo studio del MIT si focalizza non solo sulla capacità tecnica dell’IA di automatizzare compiti cognitivi e amministrativi, soprattutto nei settori finanziario, sanitario e dei servizi professionali, ma anche sulla sostenibilità economica di tale automazione. Attualmente, l’impatto dell’IA si attesta attorno al 2,2% del valore salariale, equivalente a circa 211 miliardi di dollari, ma la potenzialità di crescita è di cinque volte superiore rispetto agli effetti osservati finora.
Gli economisti di Goldman Sachs confermano questa tendenza globale, stimando che circa 300 milioni di posti di lavoro a tempo pieno nel mondo potrebbero essere automatizzati, con un’incidenza particolarmente alta in economie avanzate come gli Stati Uniti e l’Europa. I lavori più esposti sono quelli dei colletti bianchi, come amministrativi e legali, mentre occupazioni manuali e all’aperto risultano meno vulnerabili. Per il settore sanitario, ad esempio, fino al 28% delle mansioni potrebbe essere automatizzato.
Le sfide sociali e politiche dell’era dell’IA
Parallelamente, due rapporti distinti del MIT sottolineano come l’adozione dell’IA non sia un destino ineluttabile di perdita occupazionale generalizzata, ma una trasformazione che richiede una risposta istituzionale e politica robusta. La formazione continua, l’adeguamento dei sistemi educativi e una regolamentazione mirata sono elementi fondamentali per evitare che la tecnologia amplifichi disuguaglianze già esistenti.
Il rischio di esclusione lavorativa si intreccia con la necessità di garantire pari opportunità di aggiornamento professionale, soprattutto per le fasce di lavoratori più anziane o meno qualificate. In questo contesto, la pianificazione di politiche pubbliche attente all’equilibrio tra innovazione e tutela del lavoro diventa imprescindibile. Il progetto Iceberg e le iniziative correlate stanno già supportando alcuni stati americani nel progettare strategie di adattamento dei loro mercati del lavoro all’era digitale.
La situazione italiana: il caso Stellantis e il lavoro industriale
In Italia, la trasformazione tecnologica si riflette nel settore industriale con casi emblematici come quello di Stellantis, che ha ridotto il proprio organico da oltre 52.700 dipendenti nel 2021 a circa 42.500 a fine 2023, attraverso accordi di uscita incentivata. La cassa integrazione ha pesato sul bilancio pubblico con oltre 700 milioni di euro spesi tra il 2021 e il 2024, mentre si prospettano ulteriori rischi occupazionali per 12 mila lavoratori nel 2025.
Il governo italiano sta cercando di sostenere la transizione attraverso l’incremento del fondo automotive, destinando risorse per accompagnare investimenti produttivi e favorire un adattamento più equo e sostenibile. Questa dinamica evidenzia la complessità di conciliare innovazione tecnologica e salvaguardia dell’occupazione, tema che si inserisce in un quadro globale segnato da profonde trasformazioni indotte dall’IA.
