Una sentenza storica evita lo smembramento di Google ma impone nuovi limiti per frenare il monopolio nella ricerca online.
NEW YORK — È ufficiale: Google potrà tenersi Chrome, il suo browser di punta, ma dovrà rinunciare agli accordi esclusivi che per anni le hanno garantito una posizione dominante nella ricerca online. Lo ha deciso la giudice federale Amit Mehta, che ha messo la parola fine a uno dei processi antitrust più attesi degli ultimi decenni. Un verdetto che salva un asset strategico dell’azienda ma obbliga il colosso di Mountain View a cambiare rotta.
La decisione della corte e le conseguenze per Google
Il cuore della sentenza è chiaro: Google è un monopolista, come già stabilito nel 2024, ma non dovrà cedere Chrome né altri asset principali. La corte ha però vietato alla compagnia di pagare produttori di smartphone o browser – come Apple, Samsung o Mozilla – per rendere Google Search la scelta predefinita e in certi casi l’unica opzione accessibile.

Secondo il tribunale, questi accordi hanno soffocato la libera concorrenza e limitato la possibilità per gli utenti di scegliere alternative valide. Google Assistant, Gemini e altri servizi collegati alla ricerca dovranno ora competere senza il vantaggio delle preinstallazioni esclusive. L’obiettivo è chiaro: favorire un ecosistema più aperto, dove anche i competitor possano guadagnarsi spazio senza partire svantaggiati.
Per Google significa perdere contratti multimiliardari, ma anche evitare lo scenario più temuto: la vendita forzata di Chrome, il software da cui passa buona parte della raccolta dati e dei ricavi pubblicitari futuri. Il titolo di Alphabet ha reagito bene alla notizia: nella giornata di ieri ha registrato un rialzo di oltre sei punti percentuali a Wall Street.
Le richieste del governo e la difesa di Mountain View
Il Dipartimento di Giustizia americano, supportato da una coalizione di Stati, aveva spinto per misure drastiche. Tra queste, la cessione del browser Chrome, lo stop agli accordi di esclusiva con i partner hardware e software, e perfino l’obbligo per Google di condividere i dati di ricerca con i concorrenti, come parte di un tentativo di riaprire il mercato.
Durante il processo, iniziato nell’aprile 2025, è intervenuto anche il CEO Sundar Pichai, che ha definito le proposte del governo come una “cessione di fatto del business della ricerca”. Secondo Pichai, l’imposizione di condividere tecnologie o dati core avrebbe compromesso lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, uno dei settori più strategici per il futuro dell’azienda.
Nel frattempo, alcune realtà tech si erano fatte avanti. Si è parlato di un’offerta di 34,5 miliardi di dollari da parte di Perplexity per acquisire Chrome, e interessamenti da parte di OpenAI, Yahoo e Search.com. Tutti in corsa per accaparrarsi una fetta del futuro mercato AI-driven legato alla navigazione e alla ricerca.
La sentenza emessa nel settembre 2025 rappresenta la seconda tappa di uno scontro cominciato ufficialmente con la storica pronuncia del 2024, quando la stessa giudice Mehta aveva dichiarato che Google aveva violato le leggi antitrust federali. In quell’occasione, era stata definita una condotta sistematica volta a impedire l’emergere di nuovi concorrenti e a consolidare la propria posizione attraverso accordi blindati.
La portata della vicenda è paragonabile solo a quella che, negli anni ’90, coinvolse Microsoft, costretta all’epoca a scorporare alcune funzioni del sistema operativo Windows. Allora, come oggi, il dibattito ruotava attorno alla libertà di scelta degli utenti e alla necessità di frenare l’egemonia dei giganti tech.
Google ha già annunciato ricorso contro la sentenza originale che la definisce monopolista, ma per adesso tira un sospiro di sollievo: Chrome resta in casa, con tutto ciò che comporta in termini di sviluppo pubblicitario, gestione dei dati e controllo sulla futura espansione dell’intelligenza artificiale.
Nel frattempo, però, le regole cambiano. E per una Google abituata a giocare in anticipo, il vero banco di prova sarà capire come restare dominante anche in un ambiente finalmente più competitivo.