Il binge gaming coinvolge quasi un ragazzo su tre di 12 anni e incide su ansia, depressione, sonno e rendimento scolastico. I segnali d’allarme aumentano, soprattutto tra le ragazze.
Il gioco online è sempre più presente nella vita quotidiana dei giovanissimi, tanto da diventare una componente dominante nella loro routine. Ma quando il tempo trascorso davanti allo schermo supera le cinque ore consecutive, si parla di gioco compulsivo, o binge gaming, una modalità che secondo gli esperti può essere sintomo di problemi più profondi, legati alla salute mentale e alla vita scolastica.
Uno studio pubblicato nel 2025 su Plos One e condotto dall’Università di Hong Kong ha fotografato un fenomeno preoccupante: quasi un giovane su tre, di età media 12 anni, ha ammesso di aver giocato su internet per cinque o più ore consecutive nell’ultimo mese. La ricerca, che ha coinvolto 2.592 studenti di nove scuole tra elementari e medie, ha messo in luce come il 31,7% dei partecipanti rientri nei criteri del gioco compulsivo.
Le differenze di genere sono significative: il 38,3% dei ragazzi è risultato binge gamer, contro il 24% delle ragazze. Ma proprio queste ultime, secondo i dati, sembrano soffrire di più le conseguenze psicologiche di un uso eccessivo dei videogiochi.
Gli studenti hanno risposto a un questionario in classe, indicando non solo le loro abitudini di gioco, ma anche i loro livelli di ansia, stress, depressione, la qualità del sonno, il sostegno sociale e l’autoefficacia scolastica. I risultati sono chiari: tra i binge gamer, i livelli di malessere emotivo sono visibilmente più alti.
Binge gaming e disagio: i segnali invisibili che colpiscono soprattutto le ragazze
Sebbene i ragazzi siano più numerosi tra i giocatori compulsivi, sono le ragazze binge gamer a mostrare i segnali più allarmanti: ansia elevata, depressione più marcata, senso di solitudine e peggior rendimento scolastico. Rispetto alle coetanee non binge gamer, mostrano anche una minor fiducia in sé stesse, una qualità del sonno peggiore (65,5%) e una rete di supporto sociale più fragile.

Nei maschi, invece, il binge gaming sembra avere un impatto meno diffuso sul piano emotivo, ma non meno rilevante: tra i giocatori compulsivi si registrano comunque livelli più alti di stress e solitudine, e una minore efficacia percepita nello studio rispetto ai coetanei non giocatori.
Il confronto con i non giocatori è illuminante: questi ultimi riportano livelli più bassi di disagio emotivo e una percezione più positiva della scuola. Il gaming, in sé, non è demonizzato, ma quando si trasforma in dipendenza comportamentale può diventare una spia di sofferenza psicologica, spesso invisibile agli adulti.
2025, l’anno della sorveglianza digitale sull’infanzia
Nel 2025 il tema del benessere digitale è entrato nell’agenda delle scuole italiane e di molti altri paesi. Anche in Italia, il Ministero dell’Istruzione ha avviato a marzo un programma sperimentale in 300 scuole secondarie di primo grado, con l’obiettivo di monitorare le abitudini digitali degli studenti e prevenire comportamenti a rischio legati a social e videogame.
Contemporaneamente, si moltiplicano le iniziative delle ASL territoriali per integrare il tema del gioco compulsivo nei percorsi di educazione alla salute mentale e nelle attività dei consultori per minori.
Secondo l’OMS, il Disturbo da gioco su Internet (IGD) è una condizione riconosciuta, inserita nel manuale diagnostico DSM-5, e può richiedere intervento psicologico o educativo. Lo stesso studio di Hong Kong suggerisce che il binge gaming non sia solo un’abitudine, ma un potenziale predittore di disagio e una porta d’ingresso per problematiche più serie, come depressione precoce e ritiro sociale.
Il fenomeno del binge gaming non va sottovalutato né drammatizzato, ma compreso. Dietro ore e ore passate davanti a uno schermo può nascondersi una fuga dal disagio, un modo per sospendere la realtà e cercare una zona di controllo in un’età — quella preadolescenziale — segnata da insicurezze, giudizi e cambiamenti interiori.
Per genitori, insegnanti e professionisti della salute, la sfida è intercettare i segnali, creare spazi di ascolto, favorire relazioni reali. Il digitale è parte del presente, ma senza guida rischia di diventare un rifugio silenzioso in cui il malessere dei più giovani cresce indisturbato.