Come trasformare materia organica in diamante senza calore: la svolta giapponese

Scoperta

Come in Giappone tramite un fascio di elettroni, sono riusciti senza calore a riprodurre dei diamanti-cryptohack.it

Franco Vallesi

13 Settembre 2025

Con un microscopio elettronico, i ricercatori giapponesi hanno ottenuto nanodiamanti perfetti partendo da molecole organiche.

Un gruppo di scienziati ha dimostrato che, con la giusta precisione, un fascio di elettroni può costruire anziché distruggere.

Succede a Tokyo, dove una ricerca guidata dal professor Eiichi Nakamura ha ottenuto un risultato destinato a cambiare radicalmente l’approccio alla microscopia elettronica e alla sintesi dei materiali: partendo da una semplice molecola organica, gli scienziati sono riusciti a creare nanodiamanti ordinati, senza calore né pressione estrema. È un passo che apre nuove strade in settori avanzati come la tecnologia quantistica e l’astrochimica.

Il fascio di elettroni come strumento creativo, non distruttivo

Per decenni, la comunità scientifica ha ritenuto che i fasci elettronici impiegati nella microscopia a trasmissione (TEM) fossero intrinsecamente distruttivi per le molecole organiche. La loro energia elevata rompeva legami e disgregava strutture complesse. Ma la scoperta realizzata all’Università di Tokyo, e pubblicata nel 2025 su riviste internazionali di chimica fisica, ha ribaltato completamente questo paradigma.

Università di Tokyo
Università di Tokyo-cryptohack.it

Il protagonista dell’esperimento è l’adamantano, una molecola a gabbia composta da atomi di carbonio disposti in modo simile al reticolo del diamante, ma protetti da atomi di idrogeno. Per trasformarla, questi idrogeni devono essere rimossi con precisione, affinché i carboni possano legarsi in una rete cristallina solida.

Usando un microscopio elettronico a trasmissione avanzato, il team ha irradiato campioni di adamantano con elettroni ad alta energia, osservando in tempo reale l’evoluzione chimica. Contrariamente alle aspettative, il fascio non ha disgregato la molecola: ha rimosso gli atomi di idrogeno in modo selettivo, innescando la formazione di legami carbonio-carbonio che hanno portato alla crescita spontanea di nanodiamanti di circa 10 nanometri, privi di difetti e incredibilmente ordinati.

Tutto questo è avvenuto a temperatura ambiente e senza pressione aggiuntiva: condizioni inimmaginabili fino a pochi anni fa per la sintesi del diamante, che normalmente richiede pressioni superiori a 20 gigapascal e temperature di oltre 2000 gradi.

Le implicazioni nel 2025: materiali quantistici, sensori e spazio profondo

Il risultato del gruppo giapponese non si limita alla chimica. Ha già acceso l’interesse di laboratori specializzati in tecnologie quantistiche. I nanodiamanti ottenuti con questo metodo presentano le caratteristiche ideali per ospitare i cosiddetti “color center”, ovvero difetti controllati nel reticolo cristallino che possono fungere da qubit (le unità base dei computer quantistici) o da sensori molecolari ultra-sensibili, in grado di rilevare variazioni minime di campo magnetico o temperatura.

Il 2025 segna anche un’accelerazione nell’uso dei nanodiamanti in litografia elettronica, ingegneria delle superfici e biotecnologie. In campo medico, ad esempio, sono allo studio capsule nanometriche in grado di trasportare farmaci direttamente all’interno delle cellule tumorali, sfruttando la stabilità e la biocompatibilità del diamante.

Ma c’è di più. Alcuni astrochimici ritengono che la scoperta offra una possibile spiegazione alternativa alla formazione di diamanti nelle meteoriti. Fino ad oggi si pensava che questi si formassero solo in presenza di shock da impatto e temperature estreme. Ora si ipotizza che anche l’esposizione ai raggi cosmici o a particelle energetiche durante il viaggio interstellare possa innescare trasformazioni simili a quelle osservate in laboratorio, aprendo nuovi scenari sul ciclo del carbonio nel cosmo.

Il professor Nakamura, che da oltre 20 anni studia la relazione tra chimica organica e fasci elettronici, ha definito il lavoro come il culmine di una ricerca lunga e controcorrente. “Abbiamo sempre pensato che l’elettrone fosse una lama”, ha detto in un’intervista, “ma può essere anche un bisturi”.

La scoperta, già oggetto di richieste di brevetto internazionale, potrebbe anche aprire la strada a nuove tecnologie di auto-assemblaggio molecolare guidato, dove il fascio elettronico diventa uno strumento di sintesi controllata a livello atomico, più preciso del laser e più pulito della chimica convenzionale.

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