Roma, 23 dicembre 2025 – Negli ultimi anni, la gestione dei dati personali su Facebook è diventata una questione che riguarda milioni di italiani. Ormai, dentro ai propri profili, gli utenti tengono un vero e proprio archivio digitale: dati anagrafici, foto di famiglia, numeri di telefono, gusti musicali, orientamenti politici. Informazioni che, spesso senza accorgersene, finiscono per disegnare il nostro identikit digitale. Un patrimonio tanto prezioso quanto fragile.
Cosa si nasconde nei profili Facebook
Basta dare un’occhiata veloce al proprio profilo per rendersene conto: nella sezione “Informazioni” ci sono nome e cognome, data di nascita, luogo dove si vive, studi e lavoro. Molti hanno aggiunto anche indirizzi email e numeri di telefono, per abitudine o comodità. E poi ci sono le foto, pubblicate o nascoste negli archivi privati: momenti personali, viaggi, volti di amici. “Questi dati sono un vero tesoro per chi vuole ricostruire la vita di qualcuno”, ha detto qualche settimana fa il garante per la privacy Pasquale Stanzione durante un convegno a Milano.
Accanto alle informazioni di base – spesso aggiornate subito – ci sono dettagli più intimi. Interessi, gruppi frequentati, pagine seguite, like e commenti. Piccole tracce che piano piano rivelano preferenze politiche o religiose e abitudini quotidiane. “Facebook dà all’utente gli strumenti per decidere cosa mostrare o nascondere”, ha ricordato l’avvocato Giulia Mazzoleni, esperta in diritto digitale. Eppure la percezione della privacy resta spesso confusa.
Perché i dati sono preziosi – e a rischio
Secondo l’Osservatorio nazionale sulla cybersecurity, circa il 70% degli italiani usa Facebook almeno una volta al giorno. Ogni accesso lascia dietro di sé una scia: orari di connessione, dispositivi usati, spostamenti grazie alla geolocalizzazione attiva nelle foto. “I social network sono la nuova banca dati del ventunesimo secolo”, ha sottolineato Massimo Ferrari, docente all’Università La Sapienza.
Il valore economico di questi dati è ormai chiaro: per le aziende pubblicitarie valgono oro; per i truffatori diventano strumenti per ingannare. Sempre più spesso si sentono casi di furto d’identità digitale o campagne di phishing basate su informazioni prese dai profili pubblici. Il rapporto Clusit 2025 sulla sicurezza informatica in Italia segnala che negli ultimi dodici mesi gli attacchi rivolti agli utenti social sono cresciuti del 30%. Un aumento legato proprio alla quantità di dati disponibili online.
Gli strumenti per proteggersi
“Non esiste una privacy perfetta”, ammette Maurizio Tagliapietra, responsabile tecnico in una società di sicurezza informatica a Torino. Ma ci sono accorgimenti che aiutano a limitare i rischi. Il primo passo è aggiornare regolarmente le impostazioni della privacy: Facebook permette di limitare chi vede le informazioni personali solo agli amici o a gruppi selezionati. È importante anche non accettare richieste da sconosciuti e fare attenzione alle app collegate al proprio account.
Un altro suggerimento? Scaricare ogni tanto l’archivio dati che Facebook mette a disposizione. “Molti si sorprendono scoprendo quanti dettagli hanno condiviso nel tempo”, racconta Tagliapietra. Rimuovere vecchi post o informazioni sensibili resta fondamentale. Se poi l’account viene violato o rubato, si può rivolgere sia al centro assistenza Facebook sia alle autorità competenti – soprattutto alla polizia postale.
Un equilibrio tra condivisione e consapevolezza
La questione va oltre la semplice sicurezza tecnica. In un’epoca in cui ogni momento può essere condiviso quasi in diretta serve una maggiore consapevolezza su quello che mettiamo online. “Pensare prima di pubblicare è il miglior consiglio”, sottolinea l’avvocato Mazzoleni. Ma per molti utenti la linea tra pubblico e privato resta sfocata: post pensati per gli amici possono finire nelle mani sbagliate o essere usati senza permesso.
Il dibattito resta aperto: da un lato c’è il desiderio di restare connessi e condividere; dall’altro la necessità di proteggere la propria identità digitale. “Non possiamo più permetterci ingenuità”, ha concluso Stanzione sul palco del convegno milanese. Perché – anche sui social – l’informazione è potere. Soprattutto quando parliamo dei nostri dati personali.
