Roma, 11 dicembre 2025 – Nel 1979, due giovani americani, Steve Shaw e Michael Edwards, riuscirono a mettere in crisi un intero laboratorio di parapsicologia della Washington University di St. Louis. Il loro obiettivo? Mettere alla prova la solidità delle ricerche sui fenomeni paranormali in un’epoca in cui, tra libri e programmi tv, la telecinesi e le capacità extrasensoriali infiammavano il dibattito accademico. Quarantasei anni dopo, questa vicenda continua a far discutere su dove finisca la scienza e dove cominci la suggestione.
L’esperimento: maghi travestiti da sensitivi
All’epoca, racconta Shaw – che poi divenne il mentalista noto come Banachek –, il laboratorio diretto dal professor Peter Phillips era famoso per mettere alla prova chi sosteneva di avere poteri psichici. I due ragazzi, poco più che ventenni, si presentarono come volontari capaci di piegare cucchiai e muovere oggetti con la mente. Ma il trucco stava tutto nelle mani: “Usavamo tecniche di prestigiazione direttamente dai manuali”, ha spiegato Shaw in una conferenza a New York negli anni ’90. Per mesi si sottoposero a test sempre più severi.
Secondo i loro racconti, le sedute si svolgevano in stanze piene di videocamere e osservatori esterni. “Non era difficile ingannare le misure di sicurezza – ha ammesso Edwards anni dopo – spesso bastava una distrazione di un assistente o una mano non controllata alla perfezione”. Durante gli esperimenti riuscivano a piegare chiavi e posate sotto lo sguardo vigile dei ricercatori. In altri casi, facevano muovere lievemente oggetti metallici grazie a piccoli trucchi manuali.
Un ambiente scientifico diviso
Il laboratorio della Washington University era uno dei più importanti centri americani dedicati alla parapsicologia. Negli anni Settanta l’interesse per i fenomeni “psichici” spinse diverse università a creare reparti appositi per studiare queste presunte capacità. Molti speravano davvero di dimostrare l’esistenza della telepatia o della psicocinesi.
Ma non mancavano i dubbiosi. James Randi, illusionista e smascheratore di falsi sensitivi, insieme alla CSICOP (Committee for the Scientific Investigation of Claims of the Paranormal) aveva lanciato una campagna dura contro la facilità con cui certi laboratori accettavano risultati fuori dall’ordinario senza controlli adeguati. Da lì nacque l’idea di Shaw ed Edwards: “Volevamo capire fino a che punto sarebbero andati prima di accorgersi che era tutto falso”, spiegò Shaw.
Quando la scienza inciampa
Dopo circa due anni, nel 1981, venne tutto allo scoperto. I due ragazzi confessarono pubblicamente la frode con una lettera aperta sulla rivista “Science”. Phillips, responsabile del laboratorio, ammise con un filo d’amarezza che i protocolli non erano stati abbastanza rigidi. “Abbiamo dato troppa fiducia all’onestà dei partecipanti”, disse in un’intervista al New York Times dell’epoca. La notizia fece scalpore anche oltre oceano: il “Times” di Londra parlò di “una delle più imbarazzanti débâcle della ricerca universitaria americana”.
Le conseguenze furono immediate: molti centri chiusero le ricerche sulla psicocinesi, altri imposero regole molto più strette. Il caso alimentò lo scetticismo verso i fenomeni paranormali e spinse gli scienziati a guardare con più attenzione al rischio degli autoinganni.
Il peso del passato nel dibattito attuale
A distanza di decenni, quella che è passata alla storia come la “beffa dei maghi” viene ancora insegnata nei corsi universitari di psicologia sperimentale e metodologia scientifica come esempio lampante delle insidie legate all’errore umano durante le ricerche. La vicenda mostra quanto sia facile confondere l’abilità del prestigiatore con qualcosa di inspiegabile – soprattutto quando mancano controlli severi.
Oggi la comunità scientifica guarda a quegli eventi con molta più cautela. E gli stessi Shaw ed Edwards sono diventati – paradossalmente – ambasciatori dello scetticismo razionale: “Non volevamo mettere in ridicolo nessuno – ha detto Banachek più volte –, solo ricordare che il desiderio di credere può giocare brutti scherzi anche ai migliori ricercatori”. In quel laboratorio di St. Louis nel ’79 due giovani maghi riuscirono a insegnare alla scienza una cosa fondamentale: curiosità senza dubbi e metodo non basta mai.
