La crescita delle criptovalute negli ultimi anni riflette la crisi di legittimità delle istituzioni occidentali e la trasformazione della finanza in un enorme meccanismo speculativo scollegato dall’economia reale.
Il fenomeno crypto non è un semplice capitolo della storia tecnologica, ma il risultato di una trasformazione profonda della finanza e della politica occidentale. La crescita esplosiva delle monete virtuali si accompagna al progressivo svuotamento delle istituzioni e alla finanziarizzazione sempre più estrema dell’economia globale. La blockchain e il mining informatico diventano così i simboli di una moneta-feticcio, separata dai rapporti produttivi reali, e alimentata da un mito libertario che maschera interessi ben più concreti.
La speculazione come fondamento
L’estrazione di criptovalute viene spesso paragonata al lavoro nelle miniere d’oro. Un’immagine potente, che però rivela una contraddizione: mentre il minerale ha un valore d’uso materiale e un mercato secolare, il “mining” digitale produce un bene puramente speculativo. L’investimento di energia, calcolo e lavoro umano serve unicamente a creare un oggetto finanziario la cui legittimità dipende da mercati opachi e da riconoscimenti istituzionali fragili.
Il successo di monete come Bitcoin o Ethereum non deriva da vantaggi reali, ma dal movimento di capitali iper-speculativi, spesso sostenuti da interessi istituzionali oscuri. Persino le stablecoin, presentate come alternative più sicure perché ancorate a valute tradizionali o a beni materiali come l’oro, non fanno che confermare la dipendenza del settore crypto dalle monete storiche e dai sistemi finanziari che vorrebbero superare. A livello politico, la retorica libertaria alimenta l’idea di un rapporto diretto tra individui e moneta digitale, senza intermediari. Ma questa è una finzione: prima o poi chi detiene crypto deve convertirle in valute riconosciute, in merci o in servizi che si muovono ancora dentro i circuiti economici tradizionali.

La narrativa delle crypto come strumento di liberazione dalle istituzioni trova terreno fertile in un’epoca di crisi di legittimazione. L’indebolimento delle democrazie occidentali, il degrado delle strutture politiche e la corruzione diffusa spingono molti a rifugiarsi in soluzioni “esterne” al sistema. In realtà, la blockchain, esaltata come garanzia di sicurezza e trasparenza, mostra limiti evidenti: ogni nuova transazione si aggiunge all’intera catena precedente, rendendo il sistema sempre più pesante e poco flessibile. Il costo energetico ed economico del mining è enorme, e spesso sproporzionato rispetto all’effettiva utilità sociale prodotta. Molte soluzioni digitali già esistenti offrono sicurezza e tracciabilità senza consumare quantità gigantesche di risorse. L’universalità geografica delle criptovalute, infine, non è un vantaggio esclusivo: anche i sistemi bancari tradizionali, con la regolamentazione adeguata, potrebbero garantire accessi simili.
Crypto tra geopolitica e illusioni economiche
Alcuni Paesi hanno tentato di sfruttare le criptovalute come scorciatoia per rafforzare le proprie finanze. L’El Salvador di Nayib Bukele ha adottato Bitcoin come valuta legale, con risultati immediati in termini di visibilità e speculazione, ma senza costruire fondamenta economiche stabili per il medio e lungo periodo. Negli Stati Uniti, durante l’era Trump e oltre, si è parlato di fare del Paese una sorta di capitale mondiale delle criptovalute, con progetti di riserve digitali e regolamentazione delle stablecoin. Ma dietro queste mosse si nasconde spesso un tentativo di sostenere il dollaro e il mercato obbligazionario con strumenti indiretti, in un contesto di crescente fragilità finanziaria.
Il paradosso è evidente: da un lato si cerca di mantenere alto il valore del dollaro per attirare capitali, dall’altro di svalutarlo per esportare di più. Le crypto diventano in questo scenario l’ennesimo strumento di un capitalismo che si presenta come “libero” ma che si regge su meccanismi coercitivi, sanzioni e ricatti economici. Alla fine, il fenomeno crypto appare per quello che è: una corporeizzazione del feticcio. Una moneta costruita come miraggio di libertà individuale, ma che vive solo dentro la logica iper-finanziarizzata del capitale globale, scollegata dai rapporti economici e sociali reali.